Mobbing

Il termine inglese “Mobbing”, è ormai entrato da vari anni nel lessico italiano. Questa parola, utilizzata per la prima volta in etologia dallo scienziato Konrad Lorenz, significa letteralmente “assalire tumultuando, affollarsi intorno a…, accalcarsi, assembrarsi”, e descrive un tipico comportamento animale laddove un componente del branco viene isolato e progressivamente escluso dalla vita della comunità. Nell’uso oggi comunemente accettato, il termine “mobbing” indica l’aggressione psicologica sistematica messa in atto nel luogo di lavoro da un superiore o da uno o più colleghi per gelosia, invidia, concorrenza, al fine di emarginare una persona. Lo psicobiologo svedese Heinz Leymann (1) nel 1993, per primo, ne formulò una specifica definizione, applicabile ai comportamenti umani: “In caso di conflitto, le azioni che hanno la funzione di manipolare la persona in senso non amichevole si possono distinguere in tre gruppi di forme di comportamento. Un gruppo di azioni verte sulla comunicazione con la persona attaccata, tendendo a portarla all’assurdo o alla sua interruzione (con lui/lei si urla, si rimprovera, si critica continuamente il lavoro o la vita privata, si fa terrorismo telefonico, non si rivolge più la parola, si rifiuta il contatto, si fa come se non ci fosse, si mormora in sua presenza, ecc.). Un altro gruppo di comportamenti punta sulla reputazione della persona, utilizzando strategie per distruggerla (pettegolezzi, offese, ridicolizzazioni per esempio su handicap fisici, derisioni pubbliche per esempio delle sue opinioni o idee, umiliazioni). Infine le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione della persona, per esempio per punirla (non gli/le viene dato alcun lavoro o gli/le vengono affidati compiti senza senso, o umilianti, o molto pericolosi, ecc.). Alcuni di questi comportamenti si possono trovare nella comunicazione umana quotidiana (come essere ignorato dagli altri) o durante casuali litigi. Solo se queste azioni vengono compiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono chiamare mobbing”.
Per meglio comprendere le tappe attraverso le quali un evento (stressante) come il mobbing possa nuocere all’equilibrio psicofisico dell’individuo, fino a configurare un quadro patologico di malattia, è opportuno illustrare alcuni concetti chiave quali, omeòstasi, stress, stressors, malattia. (2)
Omeostasi. Dal greco “òmoios”=identico e “stasis”=condizione; indica lo stato di equilibrio generale dell’organismo, ai vari livelli, fisico, psichico, biochimico, ormonale, immunitario, etc., in una data situazione.
Stress. Risposta difensiva dell’organismo, fisiologica o patologica, a stimoli normali o di intensità non abituale (“stressors”), alteranti lo stato di equilibrio dell’organismo (omeòstasi), tendente a ristabilire la condizione di equilibrio originaria.
Stressors. Stimoli di natura diversa e di intensità non abituale i quali, modificando lo stato di equilibrio (omeostasi), danno origine alla risposta difensiva dell’organismo (stress).
Malattia. Risultato della persistenza prolungata (cronica) di un certo stimolo di intensità non abituale e della conseguente prolungata (cronica) risposta dell’organismo, non più capace di ristabilire l’equilibrio (omeòstasi) originario.

Alla luce di tali concetti, il fenomeno del mobbing si configura come un agente stressante cronico (stressor cronico) e, quindi, come possibile causa di malattia. Inducendo infatti stress cronico, cioè ripetute risposte da parte dell’organismo tendenti a ristabilire l’ equilibrio originario, senza però riuscire in questo scopo, il mobbing può favorire nel tempo l’insorgenza di uno stato di malattia. Questa può essere di varia natura: gastrointestinale, cardiovascolare, dermatologica, psichiatrica, etc..
La patologia psichiatrica sembra essere la patologia più frequente in caso di mobbing o, almeno, quella alla quale si presta maggiore attenzione. I quadri nosografici più comuni sono costituiti da: disturbi d’ansia, depressione, disturbi somatoformi, disturbo bipolare (psicosi maniaco-depressiva), disturbi del comportamento, sindrome da affaticamento, slatentizzazione di tratti patologici di personalità: qualunque disturbo psichiatrico può insorgere sotto la spinta del mobbing.
I principali, sono sicuramente l’ansia, la depressione e i disturbi somatoformi. L’ansia presenta aspetti psichici e somatici, generalmente concomitanti ( senso di paura indefinito, fobie specifiche – in particolare verso il luogo di lavoro – attacchi di panico, agora-claustrofobia, tachicardia, polipnea, ipersudorazione, tremori, parestesie, nausea/vomito, crampi addominali, etc); la depressione può manifestarsi con prevalenza di sintomi diversi, conservando tuttavia alcune caratteristiche fondamentali quali l’astenia mattutina al risveglio, ansia o senso di angoscia, perdita di appetito, disturbi del sonno e della libido, cattivo umore, facile irritabilità, perdita di speranza nel futuro, paure immotivate, inibizione psichica da perdita delle aspettative, etc. I disturbi somatoformi si presentano con entrambi gli aspetti, depressivi e ansiosi, con netta prevalenza di quelli ansiosi a espressione corporea(sintomi gastointestinali, cardiaci, respiratori: dolori, nausea, vomito, crampi, tachicardia, dolore precordiale, respiro faticoso e gravoso, frequente, ipersudorazione, capogiri, formicolii, tremore, etc.).
Ci si potrebbe chiedere a questo punto se tutti gli individui siano potenzialmente vulnerabili a un agente stressante quale il mobbing.
In questo senso l’evento malattia sembrerebbe essere il risultato della combinazione di tre fattori, nei vari soggetti esposti: a) la vulnerabilità genetica (predisposizione costituzionale); b) la cronica persistenza di agenti stressanti ambientali (ad es. il mobbing) che influiscono sull’ individuo; c) struttura di personalità (come ci si pone nel mondo, valore che si dà agli eventi, tipo di aspettative, ecc.), aspetto che differenzia molto il modo in cui una persona affronta le avversità della vita.
Se il mobbing causa uno stato di malattia, la vittima sarà necessariamente meno efficiente sul lavoro, si assenterà via via più di frequente, dando il pretesto ai suoi persecutori di aggredirla con maggiore intensità. Tutto ciò nel tempo creerà un circolo vizioso in cui le energie psicofisiche del mobbizzato saranno divorate scientificamente dal “cannibale-mobber”, il quale non recederà dal suo piano fino all’eliminazione definitiva della vittima.
Se la tecnica del mobbing è ben architettata, in genere il “mobbizzato” non ha grandi possibilità di sfuggire alla sorte predestinata. E allora quali possono essere le modalità che una vittima di mobbing può adottare per tutelare la propria integrità psicofisica e il proprio ruolo lavorativo?

Un punto di partenza fondamentale nella lotta al mobbing, è la conoscenza del fenomeno da parte degli eventuali protagonisti: il sapere di trovarsi di fronte a una vera e propria persecuzione sul posto di lavoro piuttosto che di fronte a un banale conflitto fra colleghi, consente alla potenziale vittima di disporsi alla difesa o di risolvere il temporaneo conflitto senza inutili vittimismi. E’ pertanto di primaria importanza la sensibilizzazione del lavoratore dipendente al “fenomeno mobbing” sia per diffonderne la conoscenza sia per lanciare un messaggio di ammonimento a eventuali potenziali “mobbers”.

Occorre tuttavia precisare come non tutto ciò che sembra mobbing, lo sia veramente. Esistono soggetti che credono fermamente di subire persecuzioni, mentre in realtà ciò è dovuto a un loro disturbo mentale assimilabile a un disturbo di personalità di tipo paranoideo oppure a un franco delirio di persecuzione, di natura psicotica. Ci sono poi quei soggetti che con il loro atteggiamento scarsamente collaborativo o comunque indisponente, tendente a ridurre il proprio carico di lavoro, suscitano inevitabilmente sia nei colleghi sia nella dirigenza provvedimenti che possono essere scambiati erroneamente per mobbing.

Il “mobbizzato”, se lasciato solo, è costretto a ricorrere a specialisti che ne tutelino sia l’integrità psicofisica sia i diritti legali.
Oggigiorno questa è la modalità cui più frequentemente ricorre il lavoratore vittima di emarginazione e terrorismo psicologico ingiustificati, con la conseguenza di indurre ulteriori danni non solo alla sua dignità personale e alla sua salute ( ad es: stress derivante dall’iter giudiziario, spese legali, visite mediche, psicologiche), ma anche alla redditività delle stesse aziende, alle quali vengono così a mancare fondamentali risorse umane e professionali.